Vitamina D, come e quando è necessaria la supplementazione. Una consensus fa il punto
Il lavoro riassume le conclusioni della sesta International Conference on Controversies in Vitamin D per esaminare e discutere gli aspetti clinici maggiormente rilevanti nel dibattito scientifico sulla Vitamina D
È stato pubblicato sulla rivista internazionale Endocrine Reviews, il paper dal titolo Consensus Statement on Vitamin D Status Assessment and Supplementation: Whys, Whens, and Hows che raccoglie le più aggiornate raccomandazioni cliniche su perché, quando e come misurare e integrare la Vitamina D. Il corposo e articolato documento di consenso è opera di una trentina di autori, tra i massimi esperti al mondo in tema di Vitamina D.
Il lavoro riassume le conclusioni della sesta International Conference on Controversies in Vitamin D, che, nell'autunno 2022, ha riunito a Firenze un nutrito panel d'eccezione per esaminare e discutere gli aspetti clinici maggiormente rilevanti nel dibattito scientifico sulla Vitamina D, alla luce delle più moderne evidenze, riuscendo ad amalgamare i diversi punti di vista e le variegate esperienze dei diversi componenti del gruppo, consapevoli di doversi impegnare in modo coeso per il bene dei pazienti, ottenendo un risultato di massima autorevolezza.
Due i macroambiti trattati: la valutazione della carenza di Vitamina D e la supplementazione di Vitamina D. Ne parla Andrea Giustina, professore ordinario di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo all'Università Vita-Salute San Raffaele e primario dell'Unità di Endocrinologia all'IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, nonché coordinatore della Consensus Conference che ha prodotto queste importanti raccomandazioni.
Perché, quando e come valutare stato/carenza della Vitamina D? «È fondamentale misurare i valori circolanti di Vitamina D (più precisamente di 25-idrossivitamina D (25-(OH)D)). Questo permette di effettuare correttamente la diagnosi di ipovitaminosi D e di impostarne la terapia più adatta – spiega Giustina – poiché non esiste una terapia standard in caso di ipovitaminosi D: la supplementazione va modulata in base alla severità della carenza. Il dosaggio della Vitamina D è raccomandato in tutte le categorie a rischio deficit, un elenco piuttosto lungo che sicuramente include chi ha l'osteoporosi, gli anziani, chi è sovrappeso o obeso e chi fa uso di farmaci o ha malattie che riducono l'assorbimento della Vitamina D. Sul "come" misurarla il consenso clinico è ampio, cioè attraverso i livelli ematici della 25-idrossivitamina D. Più controversa la definizione dei livelli desiderabili. Sostanzialmente, 20 ng/mL e 12 ng/mL rappresentano le soglie al di sotto delle quali si parla rispettivamente di carenza e di carenza severa nella popolazione generale. Ma in caso di patologie preesistenti, come l'osteoporosi, la soglia sale a 30 ng/mL».
Perché, quando e come integrare la Vitamina D? «La supplementazione di Vitamina D – continua Giustina – è necessaria quando l'organismo non ne produce a sufficienza, per tenere sotto controllo i rischi di tipo scheletrico ed extrascheletrico che l'ipovitaminosi D comporta, considerando, inoltre, che non stiamo parlando di una vitamina in senso stretto, ma di un ormone, e che dunque non basta una dieta equilibrata per soddisfarne il fabbisogno. È lo specialista che cura la prescrizione e il follow-up della terapia, fino al raggiungimento dei valori ottimali di Vitamina D. La forma più utilizzata di Vitamina D, nella supplementazione orale, è il colecalciferolo, la molecola sintetizzata dalla pelle con l'esposizione ai raggi solari. Ci sono poi condizioni specifiche, quali l'insufficienza renale ed epatica, in cui forme più attive di Vitamina D (calcifediolo e calcitriolo) possono essere maggiormente indicate. E situazioni nelle quali è preferibile la somministrazione parenterale (chirurgia bariatrica associata a malassorbimento per via orale)».
Il prossimo appuntamento per un nuovo confronto di opinioni su misurazione e integrazione della Vitamina D è a Roma, dal 1° al 4 settembre 2024. «Il pregio di queste Consensus internazionali sta proprio nella capacità di tenere costantemente aggiornate le linee guida e raccomandazioni che ne derivano, integrando le evidenze che progressivamente vengono prodotte in seno alla comunità scientifica internazionale, in modo da fornire ai clinici, ai pazienti, alle Istituzioni e alle Autorità regolatorie un punto di riferimento costante, equilibrato e autorevole», conclude Giustina.
Fonte: doctor33.it