Tumore del fegato: l’Istituto Superiore di Sanità pubblica le nuove linee guida terapeutiche

Un lavoro a più mani, per offrire più speranze ai pazienti. È quello che hanno compiuto dieci società scientifiche italiane, per aggiornare le linee guida sul trattamento della più diffusa forma di cancro del fegato: l’epatocarcinoma, che ogni anno colpisce oltre 12 mila italiani e da cui al momento risultano affetti quasi 34 mila connazionali.
Le soluzioni terapeutiche fino a oggi disponibili non hanno fornito grandi speranze, se la sopravvivenza a cinque anni si è sempre fermata al di sotto del venti per cento. Ma la cura dell’epatocarcinoma si trova a un punto di svolta, grazie all’arrivo di numerosi farmaci innovativi: soprattutto immunoterapici, presto disponibili fin dalla prima linea di trattamento. Senza trascurare il ricorso crescente al trapianto d’organo: efficace sia nelle forme precoci sia in quelle più avanzate (ridotte prima dell’intervento con altre terapie). Soluzioni in parte già al servizio dei clinici e in parte di prossima approvazione che si apprestano comunque a innovare l’approccio alla malattia.
Epatocarcinoma: soluzioni diverse per malati diversi
Da qui il lavoro coordinato dall’Associazione italiana studi per il fegato (Aisf) e dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom), già recepito anche dall’Istituto Superiore di Sanità, che ha pubblicato il documento sul proprio sito. Le linee guida – a cui hanno contributo anche l’Associazione italiana gastroenterologi ospedalieri, l’Associazione italiana di radiologia e oncologia medica, la Società Italiana di Chirurgia, la Società Italiana di Gastroenterologia, la Società Italiana di Radiologia Medica e Interventistica, la Società Italiana Trapianti d’Organo, l’Associazione chirurgia epato-bilio-pancreatica e la Società italiana di anatomia patologica e citologia diagnostica: con il contributo anche dei pazienti, rappresentati dall’Associazione dei pazienti con epatite e malattie del fegato (EpaC) – sono state realizzate perseguendo l’obiettivo di migliorare e standardizzare la pratica clinica per offrire al paziente le cure migliori sull’intero territorio nazionale.
“Abbiamo affrontato lo studio del tumore primitivo del fegato dai suoi stadi iniziali fino a quelli più avanzati: analizzando in maniera completa e rigorosa i diversi approcci terapeutici possibili – afferma Giuseppe Cabibbo, dirigente medico dell’unità operativa complessa di gastroenterologia ed epatologia del policlinico Giaccone di Palermo e membro del comitato scientifico dell’Aisf -. Da quelli radicali: come il trapianto, la resezione e l’ablazione. A quelli locoregionali: radioterapia, chemio e radioembolizzazione. Senza trascurare la terapia sistemica per quei tumori che non hanno risposto alle terapie precedenti o che sono in uno stadio troppo avanzato per essere aggrediti con terapie potenzialmente curative. Naturalmente questo documento non può essere considerato un elemento statico, ma andrà ampliato negli argomenti analizzati e aggiornato periodicamente alla luce dell’evoluzione della ricerca”.
La complessità della malattia e l’approccio multidisciplinare
Il tumore del fegato presenta specificità uniche in ambito oncologico, che richiedono l’intervento di specialisti di diverse discipline. Come per l’appunto è stato fatto anche per la stesura di queste linee guida.
“In oltre il novanta per cento dei casi, l’epatocarcinoma si sviluppa a partire da un organo già affetto da cirrosi – spiega Franco Trevisani, direttore dell’unità operativa complessa di semeiotica medica all’università di Bologna e coautore del lavoro -. Ragion per cui la scelta terapeutica e la prognosi di questi pazienti dipendono non soltanto dallo stadio del tumore, ma anche dalla funzione epatica residua. La disponibilità di numerosi trattamenti, adatti alle diverse fasi della malattia, rende indispensabile un approccio multidisciplinare che comprenda competenze epatologiche, oncologiche, chirurgiche, radiologiche e anatomopatologiche”.
Centrale la figura dell’epatologo
A tenere le fila, in ogni caso, dovrà essere sempre l’epatologo. “Tanto nella fase di prevenzione quanto dopo la diagnosi: è lo specialista che meglio conosce le varie fasi di gestione della malattia e i pazienti hanno quasi sempre una malattia cronica del fegato – dichiara Vincenza Calvaruso, docente di gastroenterologia ed epatologia all’Università di Palermo e membro del comitato scientifico dell’Aisf -. Intervenire subito sulle malattie e sui fattori di rischio legati allo stile di vita sottostanti è fondamentale. A seguito delle campagne contro le epatiti virali, abbiamo riscontrato un aumento dei pazienti con epatocarcinoma ad eziologia non virale, che ci indicano la necessità di migliorare la prevenzione e riconoscere chi presenta un maggior rischio di tumore e, come tale, debba essere gestito”.
Fonte: aboutpharma.com