Per la prima volta al mondo testata su modelli preclinici un’immunoterapia in grado di contrastare l’epatite B cronica
L’immunoterapia potrebbe rivelarsi una soluzione efficace anche per la cura dell’epatite B cronica, che nel mondo affligge oltre 300 milioni di persone ed è tra i primi fattori di rischio per la cirrosi epatica e il tumore al fegato. Sembra infatti che l’interleuchina-2 (Il2) sia in grado di riattivare il sistema immunitario l’infezione da virus Hbv, che normalmente diventa cronica proprio perché le difese dell’organismo non riescono a debellare il virus, che continua a sopravvivere e a riprodursi all’interno delle cellule epatiche.
I primi test al mondo sulla molecola sono stati condotti su modelli preclinici da un gruppo di ricercatori dell’Irccs ospedale San Raffaele di Milano e dell’università Vita-Salute San Raffaele, in collaborazione con la start-up americana Asher Biotherapeutics. I risultati sono pubblicati su Science Translational Medicine.
Le terapie esistenti
Il virus dell’epatite B – ricordano dal San Raffaele – si trasmette per contatto con sangue infetto, per via sessuale o da madre a figlio durante il parto. Diversamente da ciò che accade quando un adulto contrae il virus, oltre il 90% dei bambini contagiati alla nascita sviluppano la forma cronica di epatite B. Contro l’infezione oggi esiste un vaccino preventivo, ma i pazienti che l’hanno già contratta non ne possono beneficiare.
La svolta
Per loro una possibile svolta arriva dallo studio coordinato da Matteo Iannacone, direttore della Divisione di Immunologia, Trapianti e Malattie infettive dell’Irccs ospedale San Raffaele, rientrato in Italia dopo una lunga esperienza negli Stati Uniti grazie al Career Development Award della Fondazione Armenise-Harvard. Le ricerche di Iannacone, in sinergia con l’unità diretta da Luca Guidotti, vice direttore scientifico del San Raffaele, hanno contribuito in questi anni a sviluppare alcuni degli antivirali comunemente utilizzati per trattare l’epatite B nella sua forma cronica.
Le ricerche precedenti
Già nel 2019, con alcuni dati pubblicati su Nature, attraverso un’analisi molecolare realizzata grazie a tecniche di microscopia intravitale gli studiosi avevano dimostrato che i linfociti T non riescono a debellare l’infezione da Hbv e risultano disfunzionali fin dalla loro attivazione. La caratterizzazione dei linfociti T disfunzionali aveva anche permesso ai ricercatori del San Raffaele di identificare le molecole più adatte ed efficaci a risvegliare queste cellule.
Il ruolo dell’IL2
Una è l’interleuchina-2, una molecola-messaggero del sistema immunitario, che agisce come una sorta di immunoterapia ed è già sperimentata con successo sia in cellule in coltura ottenute da campioni di pazienti sia nel modello animale. Tuttavia l’Il-2, se somministrata in maniera sistemica, produce gravi effetti collaterali, aumentando la permeabilità dei vasi sanguigni e causando un grave edema. Questo accade perché la molecola non agisce solo sui linfociti T, ma anche sulle cellule Natural killer che inducono tossicità, nonché su cellule regolatorie che inibiscono la risposta immune. Il nuovo studio bypassa questi ostacoli.
Il “cis-targeting”
I risultati appena pubblicati sulla rivista Science Translational Medicine aggiungono un tassello a quelli pubblicati nel 2019. Grazie alla collaborazione con l’azienda Asher Biotherapeutics che produce l’interleuchina-2, i ricercatori sono riusciti a sperimentare questa molecola, sviluppando un approccio detto di “cis-targeting”. L’interleuchina- 2 cioè, coniugata con un anticorpo specifico, riesce a indirizzarsi solo sui linfociti T, attivandoli in maniera corretta contro la malattia.
Strada aperta all’immunoterapia
“Abbiamo visto sui modelli murini di malattia che, somministrando questo tipo di immunoterapia, i linfociti T si espandono di numero e aumentano la loro funzione, ovvero rilasciano citochine in grado di inibire la replicazione virale ed eliminano le cellule infette, abbattendo di fatto il virus”, commenta Iannacone.
I risultati hanno dunque dimostrato, in modelli preclinici di epatite B e nel sangue di persone sane, la sicurezza, la bassa tossicità e l’efficacia terapeutica di questo approccio innovativo. “Oltre ad approcci antivirali, è possibile pensare finalmente a una strategia di immunoterapia. Il prossimo passo è quello di testare sull’uomo questo approccio, in combinazione con gli antivirali”, conclude il ricercatore.
La ricerca è stata sostenuta dall’European Research Council (Erc), dalla Fondazione Airc per la ricerca sul cancro, dal ministero della Salute e dal ministero dell’Università e della Ricerca.
Fonte: aboutpharma.com