Dalla placenta le cellule che rigenerano organi: Italia e Giappone uniti nella medicina rigenerativa

Al Gaslini di Genova il biologo Roberto Gramignoli guida una rivoluzione scientifica che parte da un “rifiuto biologico”. L’obiettivo è trattare molte patologie, da quelle del fegato al diabete, fino alle neurodegenerazioni
Rigenerare un fegato malato senza bisogno di un trapianto, aiutare un neonato prematuro a sviluppare polmoni sani, ridare voce a chi l’ha persa dopo un tumore. Non è fantascienza, ma il risultato di una nuova frontiera della medicina rigenerativa: le cellule della placenta. Sono cellule capaci di sfuggire al rigetto immunitario e di trasformarsi in diversi tipi di tessuti umani. Una scoperta che potrebbe cambiare il destino di migliaia di pazienti e che ora si prepara a compiere un salto decisivo grazie a una collaborazione tra Italia e Giappone.
Protagonista di questa rivoluzione è Roberto Gramignoli, professore del Karolinska Institue di Stoccolma e da qualche mese direttore dell’Unità di terapie cellulari e Cell Factory dell’ospedale Gaslini di Genova, appena rientrato in Italia dopo 20 anni di lavoro tra Stati Uniti e Svezia. Il suo gruppo ha sviluppato una tecnologia che utilizza cellule isolate dalla placenta — un tessuto che normalmente viene scartato dopo il parto — per curare malattie oggi prive di alternative.
L’occasione per presentare al mondo i risultati di queste ricerche è arrivata a Tokyo, in due eventi di portata internazionale: il Congresso mondiale della Cell Transplant and Regenerative Medicine Society e il Forum Innovative Advanced Therapies all’Ambasciata italiana in Giappone organizzato da Tecniplast, azienda italiana leader nelle tecnologie per la ricerca biomedica. Ed è proprio da qui, in un evento che ha riunito tre grandi nomi della ricerca biomedica italiana, Camillo Ricordi, Graziella Pellegrini e Roberto Gramignoli, che è nata una collaborazione strategica con il Giappone, destinata a imprimere una svolta decisiva alle terapie cellulari avanzate. Le protagoniste di questa rivoluzione sono le cellule multipotenti della placenta, un tessuto finora considerato un “rifiuto biologico” e che, invece, nasconde un potenziale terapeutico straordinario: rigenerare organi, sostituire cellule malate, modulare il sistema immunitario senza bisogno di farmaci immunosoppressori.
Professor Gramignoli, quali innovazioni e quali prospettive per il futuro ci riserverà la medicina rigenerativa?
"È stata una conferenza molto intensa, con una forte partecipazione internazionale, in particolare asiatica, giapponese e cinese. Quest’anno ero responsabile dell’organizzazione scientifica e ho voluto invitare i principali esperti coinvolti in trial clinici di terapie cellulari d’avanguardia, capaci di offrire trattamenti rigenerativi per malattie finora considerate incurabili. Uno dei contributi più importanti è stato quello del professor Hideyuki Okano, del Cira Institute di Kyoto, diretto dal Nobel Shinya Yamanaka, scopritore delle cellule Ips, le ‘induced pluripotent stem cells’. Queste cellule, in grado di differenziarsi in diversi tipi cellulari, avevano inizialmente mostrato grandi potenzialità, ma anche rischi elevati, come la formazione di tumori. Dopo oltre 10 anni di studi, due gruppi giapponesi hanno completato i primi trial clinici di fase 1: il professor Okano per il trattamento delle lesioni del midollo spinale e il professor Takahashi per il morbo di Parkinson. I risultati non indicano un recupero completo, ma miglioramenti significativi nelle condizioni dei pazienti”.
E in campo metabolico o endocrinologico?
“Per il diabete, il professor Camillo Ricordi — italiano trasferitosi negli Stati Uniti, celebre per aver isolato per primo le isole pancreatiche — ha portato avanti da decenni una terapia basata sul trapianto di cellule pancreatiche. Tuttavia, l’uso di cellule da donatore comporta la necessità di immunosoppressione. Le Ips permetterebbero un trapianto autologo, ma restano i rischi oncogeni. Il mio gruppo, invece, lavora su un approccio diverso: utilizziamo cellule multipotenti derivate dalla placenta umana a termine. Queste cellule mostrano la straordinaria capacità di non richiedere immunosoppressione, perché derivano da un tessuto — la placenta — che naturalmente evita il rigetto tra madre e feto. Stiamo sfruttando questa caratteristica per trattare diverse patologie, dal fegato al diabete”.
L’Italia come si inserisce in questo scenario globale?
"L’Italia è molto presente. Al Forum Innovative Advanced Therapies, all’ambasciata italiana di Tokyo, siamo stati invitati in tre italiani: siamo ricercatori che rappresentano approcci terapeutici concreti: Camillo Ricordi, direttore del Diabetes Research Institute di Miami, Graziella Pellegrini dell’Università di Modena e Reggio Emilia, pioniera delle terapie rigenerative della pelle e della cornea, e io, con il nostro progetto sulle cellule placentari in corso nella Cell Factory del Gaslini di Genova. È stato un incontro fondamentale: la scienza italiana è fortemente apprezzata in Asia e questa collaborazione con il Giappone ci permetterà di accelerare il trasferimento clinico delle terapie più avanzate”.
Che cosa rende uniche le cellule della placenta rispetto ad altre cellule staminali?
"La placenta è un organo incredibile. Durante la gravidanza mette in contatto due organismi geneticamente diversi — madre e figlio — senza che il sistema immunitario li rigetti. Le cellule multipotenti placentari ereditano questa caratteristica naturale: riescono a sfuggire al rigetto immunitario anche quando vengono trapiantate in un altro individuo. Questo significa che possiamo usarle senza ricorrere a farmaci immunosoppressori, che spesso sono tossici e debilitanti”.
Come vengono raccolte e utilizzate queste cellule?
"Il processo è semplice, sicuro e completamente etico. Dopo il consenso informato della madre, la placenta, che normalmente verrebbe smaltita come materiale biologico di scarto dopo il parto, viene raccolta in modo sterile e processata all’interno di laboratori certificati. Da questo straordinario organo — che durante la gravidanza garantisce ossigeno e nutrimento al feto — si isolano diverse componenti con potenzialità rigenerative: la membrana amniotica, il cordone ombelicale e soprattutto il sacco vitellino, conosciuto anche come ‘la camicia’, la struttura che avvolge e protegge l’embrione nelle prime settimane di sviluppo. È proprio il sacco vitellino a contenere il più alto numero di cellule multipotenti, una vera miniera biologica di cellule capaci di differenziarsi in epatociti, neuroni, cellule polmonari o pancreatiche. Queste cellule, una volta isolate, vengono coltivate e indirizzate a svilupparsi in base al tipo di tessuto o organo da rigenerare per poi essere infuse nei pazienti che ne hanno bisogno”.
Avete già sperimentazioni in corso?
"Sì. Alcuni studi-pilota in Australia hanno mostrato che le nostre cellule possono stabilizzare la cirrosi epatica. Al Gaslini di Genova stiamo costruendo la prima banca internazionale di cellule della placenta, con l’obiettivo di renderle disponibili per pazienti pediatrici e adulti affetti da malattie rare o croniche. Stiamo anche collaborando con centri internazionali per applicarle a patologie polmonari nei neonati prematuri, lesioni alle corde vocali e perfino malattie neurodegenerative come Sla, Alzheimer e Parkinson”.
Il suo gruppo lavora soprattutto sul fegato: in che cosa consistono i vostri studi?
"Il fegato è un organo unico: possiede una naturale capacità di rigenerazione, ma, quando questa si esaurisce, l’unica cura rimane il trapianto. Purtroppo, per molti pazienti — soprattutto bambini — non esistono donatori compatibili o i tempi d’attesa sono troppo lunghi. Il nostro obiettivo è offrire una terapia cellulare di supporto, in grado di rigenerare parzialmente il fegato danneggiato e mantenere in vita il paziente fino al trapianto o, in alcuni casi, evitarlo del tutto. Abbiamo sviluppato una procedura che permette di differenziare le cellule della placenta in epatociti, le cellule funzionali del fegato, capaci di produrre le principali proteine plasmatiche, metabolizzare tossine e correggere difetti metabolici. Nei nostri modelli preclinici queste cellule hanno dimostrato di integrare il tessuto epatico ospite, ripristinando parzialmente le funzioni dell’organo senza alcun segno di rigetto. Inoltre, a differenza di altre fonti cellulari, le cellule placentari non hanno mostrato crescita incontrollata o rischio di tumori e questo le rende estremamente sicure per l’uso clinico. Alcuni studi in Australia hanno già confermato la loro capacità di stabilizzare la cirrosi epatica in pazienti adulti e stiamo lavorando per avviare protocolli simili anche in Europa”.
Dopo 20 anni tra Stati Uniti e Svezia ha scelto di tornare in Italia: perché?
"Volevo che questa tecnologia non restasse confinata nei laboratori, ma arrivasse ai pazienti. Il Gaslini è un centro d’eccellenza riconosciuto a livello internazionale, già pronto per produrre cellule terapeutiche. Da qui possiamo davvero portare le terapie cellulari dal banco di laboratorio al letto del paziente”.
Che cosa manca per rendere queste terapie accessibili su larga scala?
"Serve un’alleanza tra istituzioni, industria e ricerca, come quella che si sta creando con il Giappone. È fondamentale condividere know-how, standard di sicurezza e investimenti. Qualcosa che a Genova si sta facendo anche grazie al 5 per mille e ad aziende che credono nella ricerca italiana e insieme a cui stiamo rendendo i laboratori sempre più all’avanguardia. Quando ho iniziato a studiare queste cellule, più di 10 anni fa, molti erano scettici. Oggi abbiamo prove solide che la placenta può davvero salvare vite. È una risorsa naturale straordinaria: contiene tutto ciò che serve per rigenerare tessuti, curare e ridare speranza”.
Fonte: lastampa.it


























